All’uscita dagli esami di Stato, le scene di gioia e liberazione degli studenti sono comprensibili, persino commoventi (poi non sempre corrispondono ai risultati). Tuttavia, c’è un gesto sempre più diffuso che rischia di macchiare simbolicamente – e non solo – quel momento: il lancio di coriandoli di plastica. Colori sgargianti, allegria contagiosa, ma una pioggia invisibile di microplastiche che resterà nell’ambiente molto più a lungo dei ricordi di questa giornata.
Gli spazi all’uscita delle scuole si trasformano in tappeti di coriandoli sintetici che il vento sparge ovunque: nei tombini, nei prati, lungo i marciapiedi. Questi coriandoli non biodegradabili sono composti da materiali plastici che, una volta finiti nel suolo o nei corsi d’acqua, si scompongono in microplastiche, contribuendo in modo silenzioso e persistente all’inquinamento ambientale.
Il paradosso è evidente. Dopo cinque anni di scuola, in cui gli studenti seguono lezioni di educazione civica e sostenibilità ambientale, il segnale che emerge è contraddittorio: si parla di rispetto per l’ambiente, ma si festeggia calpestandolo.
Questa abitudine, diventata ormai tradizione per molti (assieme ad altre usanze discutibili per altri versi, spumante usato come alla premiazione di una gara della motogp, corone di alloro, ho visto anche fumogeni da stadio) rappresenta un’occasione mancata per dimostrare che il cambiamento parte dai piccoli gesti. Celebrare la fine di un percorso scolastico dovrebbe essere anche l’occasione per mettere in pratica quanto appreso, dando un segno di maturità e consapevolezza, non solo culturale, ma anche civica.
Fortuna che non si chiama più esame di maturità.
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